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Psicoterapia domiciliare con adolescenti in ritiro sociale

Tra i servizi elaborati all’interno del centro clinico koinè si annovera quello della psicoterapia domiciliare con adolescenti in ritiro sociale.

Nel trattamento di adolescenti in ritiro sociale uno strumento elettivo, a completamento di un intervento più complesso, è caratterizzato dall’intervento domiciliare.
Il quadro in cui si inserisce è riferito ad una presa in carico complessa dove parte del lavoro viene sviluppato con i genitori in studio e parte con l’adolescente in domiciliare.
Tale organizzazione del lavoro è pianificata nel momento in cui lo stato di chiusura del ritirato è tale da non permettere un intervento diretto con l’adolescente all’interno dello studio.

Da un lato il lavoro con i genitori è finalizzato ad accogliere la prima richiesta d’aiuto, dei quali loro sono i portavoce, ad aiutarli a fronteggiare la difficoltà ad avere a che fare con la sofferenza e la chiusura del figlio, a riformulare il loro ruolo e a trovare nuovi canali di comunicazione col proprio figlio. Tutto ciò passa attraverso la possibilità di generare una comprensione profonda delle problematiche che hanno portato al blocco evolutivo.

La famiglia, laddove è possibile ed è funzionale al lavoro, viene coinvolta e ascoltata nella sua interezza, genitori, fratelli, nonni. I nonni, quando ci sono e offrono la loro disponibilità, rapresentano una buona risorsa sia perché depositari di storie generazionali più antiche, spesso pregne di miti familiari, sia perché, talvolta, a cospetto del giovane paziente forniscono una presenza meno satura da livelli conflittuali che solitamente attraversano il rapporto genitori figli.

L’intervento familiare viene modulato di volta in volta, dopo aver valutato risorse e difficoltà, e pur coinvolgendo inizialmente la famiglia allargata mantiene come interlocutori privilegiati i genitori e il figlio che esprime il malessere.
L’obiettivo è quello di agire sul clima familiare, allentare la tensione, creare nuovi canali di comunicazione e aiutare il ragazzo, portatore del malessere, a uscire lentamente dall’isolamento in cui sembra recluso.

Psicoterapia domiciliare
Il terapeuta si muove verso il paziente, nel significato letterale del termine, andando verso i suoi luoghi che, al momento del ritiro, sono inizialmente rappresentati dallo spazio ristretto della propria stanza e da quello virtuale a cui ci si affaccia attraverso il monitor. In prospettiva il terapeuta domiciliare prova ad entrare nei luoghi fisici e virtuali del ragazzo in modo discreto e modulato rispetto al bisogno del soggetto di avere delle presenze esterne e rispettandone al contempo il timore di essere invaso.
Lo spazio terapeutico si muove flessibilmente sul filo che separa desiderio e timore, prova a diventare timoniere di nuove rotte verso l’esterno in una gradualità che tenga conto della fragilità dell’utente e del suo bisogno di rassicurazione, di punti di appiglio, di lentezza.

Il terapeuta prova a diventare gradulamente connettore di nuove possibilità di inserimento, facilitatore di nuove capacità e abilità sociali.
Il riattraversamento insieme, terapeuta-paziente, funge da elemento rassicurante che, ripetuto all’interno di un circolo virtuoso, permette gradualmente al paziente di riconquistare spazi di autonomia.
In questi casi la terapia diventa uno spazio di riparativo e, al tempo stesso, di co-costruzione.

 

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maladolescenza7

Il seminario “la Maladolescenza, nuove forme di malessere in adolescenza”

Il seminario “La maladolescenza. Nuove forme di malessere in adolescenza”, nasce dall’esigenza di confrontarsi sulle nuove evenienze patologiche in adolescenza e le nuove frontiere della cura. Parliamo di nuove frontiere della cura in relazione alla inadeguatezza della categorie psicopatologiche classiche e al bisogno di approcciare nuovi linguaggi e nuovi strumenti terapici. Il rischio è quello dello spaesamento, oppure, di fornire una risposta di cura sorda ai nuovi bisogni e rispondente ad un mondo che non esiste più.

I temi trattati spazieranno dal cambiamento della  funzione paterna e materna. A tale proposito si pensi a come la funzione paterna classicamente intesa nel suo valore normante è oggi fortemente messa in crisi. Allo stesso tempo la funzione materna fa i conti con l’emancipazione del ruolo della donna avvenuta negli ultimi secoli, per cui è da ritenersi superata la fase in cui semplicemente si rincorrevano ideali prettamente maschili in vista del riconoscimento di uguaglianza e parità, verso una realtà che ha a che fare con modelli di vita complessi fondati sul riconoscimento della differenza tra maschile e femminile.

Si parlerà di ritiro sociale come nuova forma del malessere. Il ritiro che di solito si manifesta con un primo sintomo di fobia scolare e mano mano si caratterizza per una chiusura sempre totalizzante.

Dipendenza da internet. L’approfondimento di questo tema permette di guardare all’uso massivo di internet in corrispondenza al ritiro sociale, e quindi alla dipendenza da internet come un sintomo di compromesso, laddove la realtà virtuale diventa una via alternativa attraverso la quale il soggetto si permette di mantenere un vissuto relazionale o di fare esperienze più o meno intense in una forma per lui meno terrifica. A proposito di tale prospettiva si ribalta l’idea di contrastare la dipendenza da internet normando l’uso del computer o creando divieti ma, si utilizza il mondo virtuale come un primo canale di comunicazione con la persona in ritiro.

Il seminario permetterà di entrare nel vivo dell’intervento clinico attraverso il confronto su casi clinici e attraverso una seconda fase in piccolo gruppo.

Il seminario riguarderà la giornata 5 novembre dalle ore 9,00 alle ore 18,00
9,00-11,00
Prima fase di presentazione ospiti e intervento  di Miscioscia.
“Inquadramento teorico su adolescenza, ritiro sociale e intervento con i genitori”

11,00- 11,30 coffe break
11,30 13,00
Confronto su casi clinici
Diego Miscioscia – l’intervento clinico con i ragazzi ritirati
Marie Di blasi- ritiro sociale e dipendenze da internet 
Graziella Zizzo- il lavoro con i genitori e le famiglie all’interno di un ambulatorio pubblico
13,30 pausa pranzo
14,30- 16,30
lavoro in piccolo gruppo
16,30 pausa
17,00 – 18,00
plenaria- restituzione dei lavori in piccoli gruppi
 Diego Miscioscia – psicologo, psicoterapeuta, formatore e socio fondatore della cooperativa il Minotauro
Marie Di Blasi – psicologa, psicoterapeuta, professore associato presso l’Università degli Studi di Palermo
Graziella Zizzo – psicologa, gruppoanalista, psicodrammatista, dirigente psicologo presso N.P.I. ASP di Trapani. Docente presso la scuola di specializzazione Coirag
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soggettivita_-contemporanea-cavaleri-inutile-fatica

Crisi, paradossi e disagi della contemporaneità

Il testo l’inutile fatica,  frutto di un lavoro gruppale, e quindi, concepito in un terreno relazionale, è la testimonianza di una giornata di studio e approfondimento che ha visto coinvolti gli autori sui temi della crisi economica, della precarietà lavorativa e del malessere esistenziale che ne deriva. “Il pretesto”  è l’opera di Ehrenberg “La fatica di essere se stessi”, il cui punto nodale è la constatazione di come la depressione sia diventata una delle patologie più presenti del nostro tempo.
Il testo e il pretesto dai quali si parte ci costringono a fare i conti con le forme del malessere contemporaneo, ci portano a guardare al sintomo nella sua natura gruppale e a dare rilievo al disagio  come formazione sociale. 

Storicizzare la mente, come ci intima Ferrari, è quindi un dovere. Come lo è mettere in crisi i modelli precedenti e fare della clinica una scienza viva che non si esime dal conflitto. Evitare il  conflitto porta invece ad uno sguardo immobile sul malessere, come se la mente fosse una entità separata e impermeabile alle ruvidità delle varie epoche.

La depressione diventa la lente attraverso la quale, in modo sfaccettato, si guarda ai cambiamenti della nostra epoca. Come sottolinea Ferrari tutto ciò che riguarda la psiche non può essere significato nel luogo sterilizzato del laboratorio d’analisi, ma può essere compreso solo se colto nel suo terreno d’origine.

La complessità della questione è specularmente resa dalla complessità degli sguardi che si intrecciano nel testo. L’inutile fatica ci mostra questo tentativo di uscire dal rischio dell’autorefenenzialità, di non scadere in facili ideologismi, di leggere in modo complesso il dato storico e politico attraverso la clinica e il dato clinico attraverso la politica e il sociale.
In questo caso la depressione è sia un dato clinico che un dato politico e sociale. Lo si guarda sia attraverso i paradossi della nostra epoca che attraverso lezioni socratiche all’origine del pensiero occidentale fino ad arrivare alla crisi del materno.

All’inizio del testo ci si ritrova immediatamente immersi in una ricca riflessione sulla fatica dell’essere se stessi nella contemporaneità. La risposta a questa ingiunzione paradossale e a tale mandato sociale è un impoverimento del sé, una fragilità senza pari, che si innesca in un mondo sociale spogliato dalle comunità tradizionalmente aggreganti. Laddove il senso di comunità viene meno e l’ingiunzione predominante è quella della soggettivazione a tutti i costi si fonda l’humus della depressione, della fragilità del sè, del ritiro sociale.
A partire da queste riflessioni Lo piccolo mette in risalto il punto di cambiamento qualitativo nel vissuto depressivo del nostro tempo. Ci invita a guardare a come non sia più caratterizzato dalla colpa ma dal senso di inadeguatezza e dalla pervasiva sensazione di vergogna. Aspetti questi ultimi determinati in modo reattivo alle richieste sempre crescenti del mercato.
Il nucleo patogeno della depressione non è più caratterizzato dalla colpa ma dal deficit. Non ci si confronta più con strutture super egoiche rigide e sadiche ma con un ideale dell’io inarrivabile.
Non ci si volge più verso l’altro ma si rimane intrappolati in una dimensione narcisistica e spietatamente individualista.

In una coralità di voci vediamo consegnarci la grande solitudine relazionale del nostro tempo che appare ritmato da una competizione serrata e da una ricerca, perennemente frustrata, del successo a tutti i costi. E’ nella rifondazione del senso di comunità che si individua un elemento antagonista alla sofferenza del nostro tempo. Si coglie nel testo un invito a guardare alcuni movimenti di resistenza che hanno fatto da controaltare alla solitudine dell’uomo precario, alla gabbia interiore della depressione. In questo passaggio, come ci dice Lo Piccolo, si sottolinea il valore del processo più che dell’obiettivo.
Potremmo parallelamente dire che la comunità cura e, come in psicoterapia, il valore del processo di guarigione si ritrova nell’esperienza relazionale d’ascolto, sintonizzazione emotiva, valorizzazione del sè, rispecchiamento, confronto… Si ritrova già nel “viaggio”.

E’ ciò che ci trasmette Bifo, quando, prendendoci per mano lungo la lama che attraversa il disastro, alla morte del padre frappone la crisi del materno. Se guardiamo al materno in termini simbolici ci rendiamo conto che anche qui l’invito è alla riconnessione di trame, all’acquisizione di nuovi linguaggi, a concepimenti comunitari. E’ l’utero materno che ci consegna alla comunità. L’interiorizzazione del materno diventa allora nuovo terreno gruppale.

Inoltrandosi nella lettura ci si ritrova sospesi sulle macerie della politica. Si affonda lo sguardo in una delle trasformazioni più perverse del nostro tempo determinata dal venire meno della natura “collettiva” e “connettiva” della politica. Potremmo dire che a questo punto, con Cavaleri,  ci ritroviamo a sbattere contro un altro paradosso, quello della “Polis” che non assurge più ad essere luogo di ricerca di soluzioni collettive a drammi individuali ma luogo di competizione dove vige la legge della giungla. Anche la natura connettiva della politica sembra venire meno e in tale scenario frammentato si innesca il paradosso del terzo settore, del “sociale”, dell’essere “buoni”.

E’ nel terzo settore che si mette in rilievo le contraddizioni della contemporaneità. Esattamente in quella area di lavoro che dovrebbe occuparsi del disagio diffuso. Area di mezzo tra pubblico e privato. luogo di sperimentazione di strade alternative. via d’accesso al volontariato, ai tirocini, a forme di “lavoro non retribuito”, ai “Buoni per dirla con Luca Rastello” che perseguono obiettivi salvifici al di là della retribuzione. Proprio perché la mission è nobile e i soldi sono cosa vile, perchè il datore di lavoro è nostro alleato nella missione salvifica e non si può deludere.

E’ in questo scenario che vediamo in modo abbagliante l’azzeramento del conflitto, la fedeltà al capo, la competizione tra pari. Si potrebbe dire che nelle trame smagliate della politica, non più connettiva nè garante del bene comune, si innescano guerre fratricide alimentate dal mercato, non solo nei luoghi dell’impresa pura ma anche lì, nell’area dei buoni, dell’impresa sociale, delle missioni salvifiche.

La depressione allora diventa un dato politico che ci segnala la mancanza di tutele, l’assenza di garanzie, un nuovo paradigma del lavoro che non è più nobilitante ma è l’osso che si tende davanti a un cane affamato. Tra elementi clinici, politici e lavorativi, assurge nel testo la figura di un eroe classico, un eroe spietato e feroce, che nell’inutile fatica compare nel passaggio all’età adulta, quando ancora tutto sembra in divenire.
Compare il fantasma di Alcibiade nel periodo della sua adolescenza. Ruvolo ci porta nell’era classica ad ascoltare una delle più raffinate lezioni socratiche.

Socrate al giovane Alcibiade ammonisce di non frapporre le mete ambiziose della realizzazione del sè al discapito della comunità. Segnala come compito etico di chi governa occuparsi del bene comune non anteponendo il benessere meramente individuale a quello della comunità. Ruvolo trasponendo tale lezione ai nostri tempi rimarca la differenza tra un narcisismo maligno caratterizzato da un sè grandioso alla ricerca di continue conferme, mai nutrienti e mai bastanti…. a un narcisismo buono caratterizzato dalla cura del proprio sè.

Attraverso la possibilità di prendersi cura di se stessi, in modo nutriente e curando le proprie relazioni, diventa  possibile occuparsi/curarsi dell’altro. Solo attraverso questa strada si può restituire alla Polis il proprio spazio etico.

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dipendenza_postmodernita

Sostanze di consumo e post-modernità

Gli imperativi sociali contemporanei tratteggiano una figura antropologica di uomo adattato e integrato nel mondo, una sorta di self-made-man che, se da un lato stimola gli individui a correre rischi a livello personale e professionale, dall’altro non fa altro che aumentare il senso dell’incertezza rispetto ai risultati delle proprie scelte.

Prendere delle scelte, quindi, significa essere esposti potenzialmente ad un rischio da esiti negativi e ad un sentimento di insicurezza derivante proprio dalla probabilità di fallimento. Ciò, di fatto, ha come conseguenza principale quella di rendere gli esseri umani più sensibili a rimedi chimici che permettano loro di far fronte a tutti questi sentimenti percepiti come poco funzionali all’adattamento sociale in un mondo il cui ideale è quello dell’uomo di successo.

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Rilettura teorico-clinica del modello transpersonale gruppoanalitico

In questo articolo si approfondirà il repertorio di conoscenze del modello gruppoanalitico in relazione delle acquisizioni clinico-scientifiche maturate negli ultimi anni in diverse aree.

A ben vedere il costrutto di transpersonale proposto Da Menarini e Pontalti, ed in particolar modo da Lo Verso, rappresenta un’ampia e articolata trama concettuale all’interno della quale possono essere collocate le direttrici teorico-metodologiche più utili per una clinica del/nel nostro tempo. Tutti i versanti del transpersonale risuonano in relazione alle trasformazioni sociali e culturali e alle acquisizioni scientifiche degli ultimi anni. In questa sede s’intende dare risalto alle specifiche implicazioni per ciascuno di essi.

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