Nell’ultimo decennio internet è diventato il più potente mezzo di comunicazione di massa ed ha rivoluzionato talmente le relazioni sociali, lo studio e il lavoro che pensare la vita contemporanea senza la connessione alla rete è praticamente impossibile.
Si può quindi affermare che siamo tutti “internet dipendenti”; se però alcuni individui riescono ad utilizzarlo come strumento in modo equilibrato e funzionale rispetto ai vari ambiti della propria vita, l’uso patologico e massivo porta a numerosi effetti sul piano cognitivo, affettivo, lavorativo.
Una delle principali cause della vita nel mondo virtuale è quella dell’anonimato: in rete le persone possono utilizzare delle nuove identità o “profili”, staccarsi quindi dal proprio Sé e utilizzare un Sé ideale, differente, mutevole e cangiante.
Come identificare una dipendenza da internet?
Il fenomeno della tolleranza fa sì che i soggetti trascorrano sempre più tempo connessi per ottenere la stessa gratificazione a detrimento delle normali attività quotidiane, lavorative e relazionali, su cui si imperniava la vita nel passato. L’interesse verso tutto ciò che è reale va lentamente scomparendo accrescendo invece l’appeal del mondo virtuale.
Tra le patologie più comuni possono elencare:
Cybersex addiction: il sesso virtuale, ovvero tutte le attività che provocano eccitazione sessuale, come le chat erotiche, la visione di materiale pornografico.
Cyber relational addiction: stabilire delle relazioni amicali o affettive con persone sconosciute incontrate on line attraverso chat, siti d’incontri, forum…
I giochi di ruolo: gli utenti si costruiscono una nuova identità per vivere una seconda vita distante da quella reale per interagire in non-luoghi con altre identità virtuali.
Attraverso queste esperienze tecnologiche virtuali il soggetto sperimenta sensazioni di potenza e “protagonismo”; attraverso le fantasie degli scenari virtualmente accessibili si accresce la percezione del tutto come permesso e possibile senza più i limiti insiti nel mondo reale.
Più la patologia si cronicizza più il soggetto tenderà a disinvestire il mondo relazionale esterno e a vivere esclusivamente il mondo virtuale, fino a raggiungere situazioni estreme come quella del Giappone dove è noto il fenomeno degli Hikikomori soprattutto tra gli adolescenti.
Gli Hikikomori sono appunto i soggetti che si ritirano dalla vita sociale e si rifiutano di uscire dalle proprie abitazioni per un periodo che supera i sei mesi.
Se per anni è stato considerato un fenomeno esclusivamente giapponese, gli ultimi dati rilevano invece una diffusione del fenomeno in Europa e anche in Italia, dove si stimano tra 20 e 30 mila casi.
I sintomi prevalenti sembrano sovrapporsi a quelli tipici della depressione ma è possibile fare tra le due patologie delle distinzioni significative. Mentre nel depresso prevale l’incapacità di relazione, crisi di pianto e una forte componente di senso di colpa, il sentimento prevalente negli Hikikomori è la vergogna. Più è grande lo scarto tra il mondo come si era immaginato per sè e la realtà, più forte è il senso di vergogna esperito.
L’isolamento, relativo a tutte le attività sociali, da quelle scolastiche a quelle sportive, diventa la soluzione per evitare il confronto e la competizione con i coetanei dello stesso sesso e con quelli di sesso opposto, per paura del rifiuto e del rischio relazionale.
Internet, la Rete, permette di costruire legami senza alcun rischio diretto e senza esporsi pienamente, evitando lo sguardo dell’altro su di sè, sul proprio corpo.
Tutto questo implica anche una modifica dell’assetto terapeutico classico quando, come nel caso degli Hikikomori, l’unica possibilità di entrare in relazione diventa quella del canale virtuale, attraverso Skype o le chat.