Gli imperativi sociali contemporanei tratteggiano una figura antropologica di uomo adattato e integrato nel mondo, una sorta di self-made-man che, se da un lato stimola gli individui a correre rischi a livello personale e professionale, dall’altro non fa altro che aumentare il senso dell’incertezza rispetto ai risultati delle proprie scelte.
Prendere delle scelte, quindi, significa essere esposti potenzialmente ad un rischio da esiti negativi e ad un sentimento di insicurezza derivante proprio dalla probabilità di fallimento. Ciò, di fatto, ha come conseguenza principale quella di rendere gli esseri umani più sensibili a rimedi chimici che permettano loro di far fronte a tutti questi sentimenti percepiti come poco funzionali all’adattamento sociale in un mondo il cui ideale è quello dell’uomo di successo.
Sembra, così, innescarsi un circolo vizioso: gli individui, permeati dalla logica della prestazione e della velocità psichica (correlato psicologico della velocità che caratterizza la società attuale: velocità dei mezzi di trasporto, dei mezzi di comunicazione di massa) desiderano essere uomini affermati e apprezzati a livello sociale; contemporaneamente si sentono esposti a sentimenti spiacevoli in contraddizione con le caratteristiche che li qualificherebbero come persone di successo.
L’utilizzo di droghe e di farmaci sembra essere allora un modo per affrontare questi sentimenti senza che questi possano mettere a rischio il precario equilibrio psico-fisico della persona.
Il sentimento di incertezza nei confronti del futuro, infatti, sembra essere alla base di un nuovo bisogno di sicurezza e controllo complessivo degli eventi, e l’utilizzo di sostanze psicoattive potrebbe favorire, anche solo momentaneamente e per un breve periodo di tempo, la sensazione di potere controllare il proprio funzionamento mentale e fisico nella direzione voluta e desiderata adeguandosi mimeticamente e adattativamente allo scenario globale generale.
Ingrosso (1999, 2003), a proposito dei grandi cambiamenti epocali che hanno investito la società attuale segnala la presenza di un immaginario iperprestativo intendendo con questo un immaginario permeato da fantasie di potenziamento a più livelli. Secondo l’autore ciò si inquadra
“in uno scenario di manipolazione tecnologica del sistema psicosomatico e relazionale-comunicativo dei soggetti finalizzato al soddisfacimento di bisogni o desideri di tipo esplorativo (di emozioni, sensazioni, ecc.), socializzante, curativo, contenitivo (di paure, angosce, ecc.), ricreativo, operativo, creativo, simbolico e così via”. (Ingrosso, 1999, pag. 14).
Ciò significa essere prestanti nel lavoro e nel tempo libero, efficienti e socievoli nelle relazioni, protagonisti attivi della propria vita e di quella altrui, dinamici e disinvolti sempre e comunque.
Basti pensare alla diffusione di interventi chirurgici volti a cambiare l’aspetto del proprio corpo (chirurgia plastica ed estetica, piercing e tatuaggi), allo sviluppo di tecnologie che aumentano la capacità di memoria e di elaborazione delle informazioni (limiti naturalmente imposti all’uomo), allo studio e alla ricerca delle biotecnologie capaci di sfidare i limiti imposti dalla morte. E ancora, alla massiccia diffusione di videogiochi e software di simulazione della realtà in cui la persona si immerge totalmente.
Le tecnologie moderne, così come le droghe, permettono e sono alla base di un nuovo modo di concepire le relazioni mente-corpo: il mondo del “virtuale” apre le porte ad una diversa modalità di interazione con il proprio corpo “allargando enormemente i confini del possibile e dando occasione al singolo di interagire, e alle volte perfino di creare, i propri contesti di vita” (Maggiolini, Grassi,pag. 27).
In quasi tutto il mondo occidentale l’uomo si trasforma in cyborg, una figura metaforica fantascientifica metà uomo e metà robot. Il cyborg sembra essere l’espressione di una ossessiva necessità di manipolazione della natura umana.
L’essere umano ha imparato a programmare i momenti in cui potere vivere passioni, sentimenti e le emozioni. Tale livello di controllo servirebbe all’individuo di preservarsi da pericoli “esterni”: la programmazione delle emozioni in contesti controllati eviterebbe che queste si possano presentare all’improvviso; laddove questo dovesse succedere il rischio sarebbe il crollo di tutte quelle difese maniacali che, fino a quel momento gli avevano permesso di controllare tutti gli eventi percepiti come minaccia dei fragili equilibri della propria quotidianità (Martignoni, 2001/2002).
“Ognuno di noi è privo di garanzia di successo e pieno di incertezza (…). Infinite solitudini delle persone con una difficoltà maggiore ad incontrarsi con gli altri nel sociale, fino alla nuova paura di mettersi a nudo davanti agli altri con i propri sentimenti e la propria personalità autentica rischiando magari una dolorosa frustrazione (…). Una planetaria perdita del legame sociale e del conseguente sentimento di isolamento dell’individuo che ognuno a modo suo cerca di colmare attraverso contatti programmati e confezionati” (Di Gregorio, 2004: pag 52).
La ricerca, senza compromessi, di una soluzione magica alla zavorra dei sentimenti umani sembra la richiesta bisognosa di un mondo iper.
A partire da quanto detto appare chiaro come il “problema” droga, infatti, non coinvolga semplicemente i giovani, anzi, secondo alcuni Autori (Amendt, 2004; Ingrosso, 1999; Martignoni, 2005) sarebbe semplicemente il sintomo visibile di una società che necessita di sostanze e di additivi chimici e psicologici volti alla ricerca di un sollievo alle ansie prodotte dall’attuale configurazione sociale.
Amendt, ad esempio, parla di psicodroghe riferendosi ai farmaci in quanto questi ultimi ormai verrebbero utilizzati come modo per regolare i propri stati mentali interni.
“Nel mondo globalizzato e deregolamentato del futuro, le sostanze psicoattive, che influenzano il comportamento nella misura in cui modificano il senso di sé, diventeranno irrinunciabili non solo come genere voluttuario – just for fun – ma anche come strumenti di intervento sociale” (p.11).
Così, una persona che si sente leggermente depresso ricorrerà all’uso di antidepressivi in modo da non compromettersi come ingranaggio di una più ampia catena produttiva. È chiaro come le droghe farmaceutiche e le sostanze psicoattive in genere pilotino, secondo l’Autore, sentimenti umani, li offuscano, li canalizzano, li controllano ma raramente li chiariscono.
Il “nuovo” rapporto con le sostanze psicoattive, per quanto per certi versi ancora perturbante la morale collettiva, sembra essere integrata ed egosintonica rispetto ad alcune caratteristiche del periodo attuale – velocità, consumismo, efficienza, rischio.
Secondo Amendt, il modello del self made man in ambito di consumi di sostanze si tradurrebbe in un’immagine ipermedicalizzata della sofferenza: piuttosto che interrogarsi sull’emozione disturbante, l’individuo post-moderno preferirebbe renderla silenziosa tramite l’assunzione di farmaci (antidepressivi, ansiolitici…).
La strada farmacologica per l’incremento delle prestazioni lavorative e per il gioioso e rilassato godimento rappresenta la via più facile per risolvere i problemi, sociali e individuali.
L’elemento che sembra caratterizzare indistintamente tutti i consumi di sostanze psicoattive sembra essere quello che Amendt (2004) definisce “processo di strisciante farmacologizzazione della realtà” (pag. 9) o, come altrimenti lo definisce Ingrosso, “effetto supermarket” (Ingrosso, 1999, 2003).
Da un lato si evidenzia come l’attuale condizione umana, quella del mondo globalizzato e de-regolamentato, necessiti sempre di più di protesi esterne per riuscire a rendere la vita tollerabile psicologicamente.. Dall’altro si evidenzia come i mercati legali e illegali delle droghe/farmaci proliferino al punto da essere riusciti a creare la sostanza giusta per il raggiungimento di qualsiasi effetto psicofisico (Ingrosso, 2003; Petroni, 2004).
Le persone in questo modo avrebbero la possibilità di scegliere la sostanza giusta a partire da uno specifico desiderio, in modo da creare un connubio inscindibile tra la farmacopea della droga (Collin, 1998) e la farmacopea dei desideri (Ingrosso,1999), in perfetta linea con l’ideale basico dell’immaginario iperprestativo.
Così a tutti è permesso di essere felici, scattanti, allegri, spavaldi, coraggiosi, impavidi a dispetto di quei sentimenti di incertezza che provengono dal sociale. All’interno di questa prospettiva, la possibilità di disporre di un mezzo tecnico (naturale, chimico o tecnologico), con poteri quasi magici, permette alle persone di potere vivere con la sola immaginazione
“una breve esperienza di onnipotenza che allontana, anche solo per un breve lasso di tempo, il sentimento sgradevole di impotenza e di sottomissione a poteri forti e sconosciuti, dentro e fuori i propri confini (…), che serve a ridimensionare il senso della minaccia che proviene dal sociale” (Di Gregorio, 2004).
Quanto detto fino ad ora serve a segnalare una particolare rappresentazione del corpo, sempre più visto come corpo-macchina e meno come corpo-soma investito affettivamente e simbolicamente (Martignoni, 2005).
Come dice Lo Verso (2003) il Sé somatico è il grande rimosso del post-moderno; il corpo concreto, che vibra, che tocca e che sente con l’altro sembra essere un corpo che non riesce a trovare più territorialità: un corpo che parla del desiderio della relazione con un altro che può anche rifiutare, un corpo che espone a sentimenti imprevedibili, spesso difficilmente controllabili (le passioni ad esempio), un corpo vivente che gioca con altri corpi, un corpo che può essere indesiderato perché perennemente ricordante i limiti materiali di ognuno e potenzialmente imperfetto e caduco.
Il corpo-macchina, al contrario, sembrerebbe essere il contenitore virtualizzato di un Sé logico, razionale, preciso e dedito all’azione. È come se fossimo in presenza di un iper-funzionamento della mente sempre più disancorata dal proprio corpo. Martignoni (2005) evidenzia come il processo a cui si è assistito è stato una progressivo passaggio dal corpo biologico al corpo cellulare luogo del funzionamento cyborg.
Bibliografia
– Amendt G. (2004), No drug, no future, Feltrinelli, Milano.
– Di Blasi M. (a cura di) (2003), Sud-Ecstasy. Un contributo alla comprensione dei nuovi stili di consumo giovanile, Franco Angeli, Milano.
– Collin M., Stati di alterazione. La storia della cultura Ecstasy e dell’Acid House, Oscar, Saggi Mondadori, 1998.
– Di Gregorio L. (2004), Psicopatologia del cellulare, Franco Angeli, Milano.
– Ingrosso M., (2003) “Pluralizzazione delle droghe e immaginario iperprestativo” in – Di Blasi M. (a cura di), Sud-Ecstasy. Un contributo alla comprensione dei nuovi stili di consumo giovanile, Franco Angeli, Milano.
– Ingrosso M. (1999), “Nuove droghe, nuove idee”, Animazione Sociale, Novembre, (pp 9-25)
– Lo Verso G. (2003), “Prefazione” in Di Blasi M. (a cura di), Sud-Ecstasy. Un contributo alla comprensione dei nuovi stili di consumo giovanile, Franco Angeli, Milano.
– Maggiolini A., Grassi R. (2003), “Droghe e culture adolescenziali: una ricerca sugli atteggiamenti degli adolescenti verso le droghe”, in Maggiolini A.(a cura di), Sballare per crescere. La prevenzione delle droghe a scuola, Franco Angeli, Milano.
– Maggiolini A.(a cura di) (2003), Sballare per crescere. La prevenzione delle droghe a scuola, Franco Angeli, Milano.
– Martignoni G. (2001/2002), “La clinica dei fluidi e l’incerto abitare”, in Atti “Il maggio di Alice”. Proposta di un percorso attorno alla tossicodipendenza, II°-III° edizione.
– Martignoni G., (2005), “Tossicodipendenza. Una malattia dell’‘anima del mondo’, un ‘isotopo culturale’ o solo una categoria psicopatologica” in Caretti V., La Barbera D., (a cura di), Le dipendenze patologiche. Clinica e psicopatologia, Raffaello Cortina Editore, Milano.
– Petroni A., (2004), Droghe Legali, Castelvecchi, Roma.